reato di coltivazione di sostanze stupefacenti - avvocato droga

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La giurisprudenza – pure se con diversi dubbi - ha da sempre ritenuto che la coltivazione di piante senza un reale permesso, da cui si può procedere all’estrazione di stupefacenti o sostanze psicotrope, viene considerata come reato di pericolo supposto o astratto, poiché l’attività della coltivazione è soggetta ad una punizione ex se, senza che per l’inclusione del reato sia necessario individuare un effettivo grado di tossicità della pianta e senza che ci si debba riferire alla sostanza stupefacente che dalla medesima deriva e che dipende da circostanze contingenti, connesse alla sua maturazione, alla sua evoluzione e alla sua formazione:

il reato criminoso si determina come reato di pericolo, la cui configurazione avviene tutte le volte che venga coltivata anche solo una pianta in grado di produrre sostanze stupefacenti, che vengono considerate vietate dalla legislazione, a prescindere dal livello di tossicità o di principio attivo che si trova negli stessi stupefacenti o nelle foglie e nei fiori (Cass. 15.11.2005, D Ambrosio; Cass. 11.3.1998, Pesce ed altro; Cass. 7.11.1996, Garcea; Cass. 18.6.1993, Gagliardi).

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Inoltre, come stabilito dalla sentenza "Garcea", al reato di pericolo, con cui viene punito colui che coltiva piante di canapa indiana a prescindere dalla loro quantità e dal livello di tossicità (contrariamente a quanto previsto dai ricorrenti), si associa pure il reato di pericolo che considera rilevanti tutti quegli aspetti connessi alla determinazione di operazioni criminali, a prescindere da quelle che sono le reali volontà del suo autore. In realtà, nel coltivare piante simili, l’intenzionalità e l’idoneità di produrre sostanze tossiche proviene pure da situazioni causali di tempo e di luogo della coltivazione.