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Non bisogna affermare soltanto che per spaccio si fa riferimento anche alla cessione di una piccola quantità ad un’altra persona, pure se tutto si determina in modo gratuito:

per cui offrire uno spinello o una riga ad un’altra persona viene ritenuto come spaccio. Comunque, il reato di spaccio e di possesso hanno bisogno di essere provati dall’accusa: infatti, dopo la depenalizzazione del possesso per uso personale di sostanze stupefacenti successivamente al referendum abrogativo di alcune disposizioni del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (D.P.R. 5 giugno 1993 n. 171), lo scopo dello spaccio costituisce un elemento fondamentale del reato di possesso illegale di stupefacente e, perciò, merita di essere provata dall’accusa, poiché non si può provare a carico della persona imputata la finalità di utilizzo personale della sostanza stupefacente che possiede (cfr. tra le altre, Cass. pen., sez. VI, 29/04/2003, n. 26709, Pezzella).

Vi è altresì, il cosiddetto onere di allegazione, ossia il dovere e l’obbligo di provare che si è innocenti.

Per la determinazione del reato previsto dall’art. 73 d.P.R. n. 309/90, dunque, non è la persona indagata / la difesa a provare l’uso individuale dello stupefacente che detiene (in quanto è soggetto solo a sanzioni di tipo amministrativo previste dall’art. 75 del medesimo D.P.R.); è mentre l’accusa, considerando i criteri generali, a provare il possesso della sostanza stupefacente per un uso diverso da quello individuale (cfr. da ultimo, Cass. Pen. Sez. 4, 4-6-2004 n. 36755, Vidonis; Cass. Pen. Sez. 6, 22-9-2003, Pommella).

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L’obbligo della valutazione in merito alla destinazione dello stupefacente (se per uso individuale – e quindi senza alcuna rilevanza penale - o del conferimento a terzi – e quindi di rilevanza penale) compete al giudice con la considerazione di elementi come:

- la quantità,- la qualità e il composto della sostanza stupefacente, anche in base alla situazione del reddito di che la possiede e della sua famiglia, come anche - della disponibilità di apparecchiature utili per pesare lo stupefacente e impacchettarlo oltre che – in base al contesto vero e proprio (cfr. tra le altre, Cass. pen., sez. VI, 19/04/2000, n.6282, D Incontro).

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In tema di falso qualitativo vi sono due orientamenti diversi. Il primo, per cui la disciplina penale dei reati connessi a fatture e altri documenti per operazioni immaginarie di cui agli artt. 1 lett. a), 2 e 8 il d.lgs. n. 74 del 2000 deve adottarsi soltanto per le operazione non applicate a livello reale, per cui vengono escluse tutte quelle che possiedono un riconoscimento giuridico diverso, chiamato inesistenza giuridica, a patto che il fatto abbia determinato delle conseguenze di carattere fiscale.

Il secondo orientamento, più rigido del primo, stabilisce che si configura reato in materia di fatture per operazioni immaginarie tutte le volte che si realizza una contrapposizione tra quella che è la realtà finanziaria e la realizzazione di atti inclusi quindi la circostanza dell’inesistenza giuridica.

Analoga questione relativa alla rilevanza penale delle fatture false in ambito qualitativo è quella riguardante le fatture ritenute false a livello soggettivo.